#MarcoPannella, un ricordo personale

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Foto tratta dalla home page di Radio Radicale

È morto uno degli ultimi esponenti della Prima Repubblica, Marco Pannella. Visto che in rete tutti si sono scoperti all’improvviso Radicali ad honorem, vorrei fornire un ricordo più sincero, da ex-Radicale.

Mi sono sempre riconosciuto in quella corrente politica nota come liberalsocialismo. Si tratta di una corrente politica piuttosto fumosa, dai contorni piuttosto incerti, soprattutto oggi in cui la parola “liberale” è abusata. Detto in maniera un po’ grossolana, è un’ideologia che cerca di coniugare il principio di libertà con quello di eguaglianza economica, una via di mezzo fra il laissez-faire liberale e la lotta alle disuguaglianze economiche socialista. Il mio primo mito politico fu, non a caso, Tony Blair, protagonista assieme a Bill Clinton della cosiddetta Terza via.

Il mio processo di avvicinamento al Partito Radicale fu piuttosto lento e graduale. Originariamente sono stato un simpatizzante dei DS, altro partito che tra fine anni Novanta e primi anni Duemila cominciava ad avere una connotazione liberale. Molti anti-renziani forse lo dimenticano quando accusano il PD attuale di essere di destra, ma i DS di allora erano molto più liberisti dei renziani di oggi: all’epoca Piero Ostellino dedicava spesso la sua rubrica settimanale sul Corriere della Sera al segretario Piero Fassino; persone come Franco Debenedetti, Nicola Rossi ed Enrico Morando erano in Parlamento come esponenti dell’area “liberal” del partito; D’Alema, altro mio mito politico di allora, aveva provato nel ’97 a diventare il Blair italiano. In poche parole, i DS erano un partito dai forti tratti liberali e laici.

Intorno alla metà degli anni Duemila sono cominciati i problemi. Il centrosinistra, sotto la pessima influenza dei vari Francesco Rutelli, Paola Binetti, Luigi Bobba, Dorina Bianchi, cominciò a trovare enorme difficoltà nel portare avanti una politica veramente laica. Il fallimento del disegno di legge sui DICO fu emblematico delle difficoltà storiche del centrosinistra italiano, costretto in quel periodo a logoranti mediazioni fra democristiani reazionari e rigidi comunisti. Chi oggi attacca la legge sulle unioni civili appena approvata, detto per inciso, farebbe meglio a ripensare alle difficoltà incontrate DIECI ANNI FA e a quanto sia importante un passo in avanti, seppur piccolo e incerto, rispetto al nulla ottenuto nell’ultimo decennio.

A questi problemi si aggiunsero quelli storici nei rapporti tra sinistra riformista e sinistra estrema: per citare solo un paio di episodi, due fenomeni rischiarono di far cadere il governo Prodi pochi mesi dopo il suo insediamento. Altri fenomeni decisero direttamente di manifestare contro il governo di cui erano sottosegretari.

In questo caos ridicolo, scoprii all’improvviso il Partito Radicale. Diventai un affezionato ascoltatore di Radio Radicale, in particolare della loro fantastica rassegna stampa mattutina Stampa&Regime, che vi consiglio di ascoltare in podcast. Scoprii che, al netto di qualche personaggio troppo berlusconiano per i miei gusti come Daniele Capezzone, i Radicali erano di fatto il partito più vicino alle mie idee: un partito liberale, liberista e libertario. Il culmine della mia passione radicale arrivò con l’esperienza della Rosa nel Pugno, il tentativo di unificare definitivamente l’esperienza socialista e quella liberale attraverso un listone unico comprendente i Socialdemocratici di Enrico Boselli e i Radicali. In linea con la tradizione del liberalsocialismo, anche questo esperimento fallì in breve tempo ed è proprio in quell’istante che capii che sarei stato per sempre condannato a votare per minoranze inconcludenti.

Inevitabilmente, con il tempo cominciai anche ad approfondire la conoscenza del vulcanico leader ultradecennale dei Radicali italiani, Marco Pannella.

Pannella è stato per lungo tempo un personaggio notevole della politica italiana. Grande protagonista delle battaglie referendarie degli anni ’70 su aborto e divorzio, si è distinto in decine di occasioni per il suo modo particolare di fare politica.
I ripetuti scioperi della fame e della sete, nonché le famigerate sceneggiate televisive contro il sistema d’informazione italiano, sono state per lungo tempo un elemento fortemente distintivo del Partito Radicale. All’epoca, i partiti tradizionali avevano uno stile più altero e compassato e l’estrema teatralità delle iniziative radicali risaltava in maniera efficace tra il grigiore degli altri movimenti politici.

Quel modo di fare politica mi ha sempre dato fastidio. L’ho sempre considerato una pagliacciata di un istrione in cerca di visibilità, come un grande attore che sale sul palcoscenico per il suo spettacolo. Un modo di fare politica che purtroppo ha fatto scuola, se avete presente le manifestazioni pubbliche di praticamente tutti i partiti di oggi.
Per me, al contrario, la politica è cosa ben diversa dallo spettacolo: è riflessione e analisi approfondita e razionale dei problemi di un paese e dei modi per risolverli; è capacità di convincere il maggior numero di persone possibile della bontà delle tue analisi e delle tue proposte di governo; è capacità di compromesso con partiti con idee diverse dalle tue. Anche per questo ho sempre fatto fatica ad apprezzare la figura di Marco Pannella, pur condividendone in gran parte le idee.

Ho spesso condiviso le idee di Marco Pannella ma ho sempre fatto fatica ad accettare il suo carattere vulcanico, che secondo me ha finito col divorare il suo partito . È stato un leader di partito coraggioso e in anticipo sui tempi, che ha consentito al nostro paese, profondamente reazionario e retrogrado, di avere una luce continua su questioni fondamentali come il diritto all’aborto, al divorzio, all’eutanasia, la libertà di ricerca scientifica, i diritti dei detenuti e degli imputati. Garantismo e laicità non come parole prive di significato, ma come oggetto concreto della propria attività politica.
È stato, assieme ai compagni di partito, in prima linea nella difesa dei popoli oppressi, dalla difesa del popolo tibetano a quella del popolo iracheno alla vigilia della Seconda Guerra nel Golfo.

Il suo carattere vulcanico lo ha portato anche, a mio avviso, a commettere gravi errori politici. Da un certo punto di vista trovo comprensibile l’alleanza con Berlusconi nel 1994: all’epoca era ancora difficile capire cosa avrebbe combinato in politica l’imprenditore milanese, che a parole evocava la leggendaria “rivoluzione liberale”. Semmai, l’errore è stato che per troppo tempo Pannella ha esitato nel prendere le distanze da un leader politico tutt’altro che liberale e incline invece a soddisfare le gerarchie vaticane pur di mantenere il potere.
Nella Seconda Repubblica del bipolarismo forzato era comprensibile la difficoltà di un partito liberalsocialista nel trovare la giusta collocazione politica. Pannella ha risolto la questione quando decise finalmente di smarcarsi dall’abbraccio mortale con Berlusconi, per tentare la strada dell’alleanza col centrosinistra di Prodi. Fu un esperienza terribile, condizionata da un’estrema frammentarietà della coalizione. Quella fase si chiuse qualche anno più tardi nel peggiore dei modi: quando il PD si oppose alla candidatura di Giuseppe Rossodivita, colpevole di aver fatto emergere lo scandalo dei finanziamenti pubblici ai partiti nella Regione Lazio, Pannella cercò un assurdo accordo di coalizione con Francesco Storace, al quale la base radicale si oppose con forza.

Con quelle elezioni regionali finì di fatto il potere di Pannella sul suo partito, ormai ridotto allo stato comatoso. Le varie iniziative radicali hanno perso a poco a poco di spinta propulsiva, condannate come erano al più totale anonimato in un’epoca in cui tutti i politici avevano fatto proprio il linguaggio pannelliano. Persino gli scioperi della fame e della sete, emblema della lotta politica radicale, ormai non facevano più notizia visto il loro continuo ripetersi sonnacchioso anno dopo anno. Un’iniziativa estrema quando viene ripetuta un’infinità di volte perde il suo carattere eccezionale per diventare pura routine, ed è forse questo paradossalmente ad aver condannato Pannella e il suo partito all’emarginazione politica.

Aggiornamento: come riportato nel titolo, il mio è un ricordo del tutto personale, frutto anche del fatto che ho vissuto in prima persona gli anni del declino politico del Partito Radicale. Per chi vuole invece un resoconto più completo e forse meno ingeneroso sulle grandi battaglie di Pannella può leggere anche questo articolo pubblicato su repubblica.it

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